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Il Cappello del Prete PDF Stampa E-mail
Scritto da Administrator   
sabato 23 febbraio 2008

Il primo giallo scritto in lingua italiana, il primo libro ad avere un alta diffusione, nonostante l’analfabetismo imperante in Italia in quel periodo, il primo libro italiano “leggero” ad essere tradotto in numerose lingue. Scritto nel 1887 da Emilio De Marchi per essere pubblicato a puntate, tipo feilleuton, già nel 1900 era stato pubblicato come volume dalla storica Treves di Milano ed esportato fino negli Stati Uniti.

Il suo segreto una storia semplice, incredibilmente semplice, ma così ben tracciata da diventare più interessante di un complicatissimo giallo moderno.

De Marchi non ci nasconde l’assassino, anzi, lo sbatte in prima pagina e l’intera trama si svolge seguendo l’assassino, un nobile decaduto che per pgare i debiti non trova di meglio che uccidere un prete ricco ed usuraio. Le conseguenze però sono terribili, sia sulla sua coscienza, quella di un gaudente senz’altro ma non di un assassino, che sulla sua vita, visto che a tratti è convinto che tutti sappiano ciò che ha fatto. Il nobile rimpiange di non essere nato povero, ma solamente per amore della semplicità. E’ arte allo stato puro la descrizione di come il nobile, assistendo ad un povero battesimo in una chiesa di quartiere, rimpiange di non essere capace di godere di quelle piccole gioie, perché troppo colto, perché costretto a farsi domande sui misteri del mondo invece di gioire di una giornata di festa.

Il cappello del titolo è il filo conduttore dell’intera storia. Il cappello, scordato dall’assassino fuori della improvvisata sepoltura della vittima e per sfortuna passa in varie mani fin quando non arriva alla polizia che inizia ad indagare sulla scomparsa del prete. Intanto il nobile, che aveva commesso l’omicidio nella convinzione di essere un darwiniano, cioè una persona che crede nella selezione naturale, scopre di essere tormentato dai sensi di colpa, che non vengono placati neppure dal riconoscere l’obiettiva natura maligna del prete ucciso, immorale, usuraio, dedito al gioco. Inizia un sottile gioco con l’ufficiale di polizia che ha capito tutto ma non ha prove e, alla Tenente Colombo, punzecchia il nobile alla ricerca di crepe da cui altino fuori prove.

La cosa più singolare è che De Marchi, milanese DOC, non solamente ha ambientato il romanzo a Napoli, ma lo ha anche condito con espressioni gergali partenopee, arrivando ad un misto di milanese, napoletano dell’epoca, latino. De Marchi inoltre punta moltissima sia sui dialoghi del nobile con se stesso, sui ragionamenti introspettivi, che sulla descrizione, meticolosa, puntigliosa, del paesaggio e dei luoghi, al punto che a tratti sembra di figurarsi dinnanzi il viottolo che porta al paese.

E’ esemplare la penna del De Marchi che riesce ad evocare il progessivo precipitare nella situazione anche riportando la confusione dei dialoghi interiori el nobile, che man mano che si avvicina la fine diventano sempre meno coerenti. Un libro che andrebbe inserito nelle antologie scolastiche e che invece è sconosciuto ai più grazie all’incapacità cronica di chi compila i programmi scolastici.

Ultimo aggiornamento ( venerdì 15 febbraio 2008 )
 
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