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Storia di due Gatti PDF Stampa E-mail
Scritto da Administrator   
giovedì 05 aprile 2007

Bianco e Grigio nacquero una calda sera di primavera, sotto la siepe in quell’angolo ombroso di giardino che mamma Gatta aveva scelto. Fu un parto rapido e facile, come spesso avviene per gli animali. Leccando i due gattini appena nati Gatta si accorse subito che mentre Bianco era vispo e vitale Grigio si muoveva di meno ed era anche più piccolo del fratellino. Con il passare dei giorni le cose non cambiarono, Grigio sembrava inappetente, mangiava di meno e si muoveva di meno, così mentre Bianco cresceva forte Grigio rimaneva piccolo e debole, inoltre soltanto un occhio si era aperto, il destro, mentre quello sinistro restava ostinatamente chiuso. Mamma Gatta era preoccupata sapeva che di lì a poco avrebbe dovuto fare una scelta, non poteva permettersi un gattino stanco e debole, ormai Grigio non aveva neanche più la forza di prendere il latte e spesso rimaneva indietro nel loro spostarsi da una parte all’altro del cortile. Finché un giorno….. Grigio rimase lì, sul vialetto d’asfalto, immobile e semisvenuto, mentre Gatta e Bianco proseguivano il loro cammino verso la siepe ombrosa, Gatta non se ne accorse se non quando era già arrivata a destinazione, lasciò Bianco e corse indietro, giusto in tempo per vedere un umano che raccoglieva Grigio dal selciato, Grigio che non reagiva, la testa penzoloni, la bocca aperta, apparentemente morto. L’umano sparì in uno dei portoni con il suo Grigio e lei non poté farci nulla, d’altra parte la vita è dura, Gatta ben lo sapeva, aveva capito che Grigio non sarebbe durato. Tornò mestamente indietro a prendersi cura di Bianco.

Grigio non capiva cosa stesse succedendo, ricordava solamente di essere improvvisamente crollato, il caldo la fatica, ricordava un umano chino su di lui, lo toccava con un pezzo di legno, poi l’oblio. Si svegliò improvvisamente quando sentì un dolore improvviso, aprì l’unico occhio buono e sentì di nuovo un gran dolore, poi ancora, si sentì tirare su, due occhi enormi lo guardavano: “Speriamo che con queste iniezioni si abbassi la febbre” disse l’umano col camice verde “Adesso vediamo l’occhietto” due dita forti e decise gli aprirono a forza quell’occhio che mai aveva visto la luce, subito dopo un liquido freddo e bruciante venne versato dentro. Grigio tentò di ribellarsi ma le forze non glielo permisero, si abbandonò nuovamente all’oblio.

 “Gli metta la pomata nell’occhio mattina e sera e me lo riporti fra tre giorni” udì appena. Quando si svegliò la tenue luce dell’alba filtrava appena attraverso la grata, guardò intorno e vide pareti verdi con piccole feritoie, cercò di richiamare l’attenzione ma i suoi miagolii erano troppo deboli perché qualcuno li udisse, eppure qualcuno li udì. Le sbarre si aprirono, una mano lo afferrò, lo tirò su.

 “La pomata ti ha fatto bene, l’occhio si è schiuso” Grigio sentì di nuovo quella fredda sensazione di bruciore nell’occhio, subito dopo qualcosa di tiepido e dolce colava nella sua bocca, era latte si ma di un sapore diverso da quello di Gatta. Comunque lo mandò giù. Una mano gentile lo adagiò su qualcosa di morbido, sentì un clic. Aprì appena gli occhi, vide di nuovo le pareti verdi, girò la testa quel tanto che gli riuscì e vide davanti a se delle sbarre bianche, la faccia grande e rosa di un umano lo guardava da dietro quelle sbarre.

“Dormi piccolino, sei ancora debole”, - Grigio ubbidì, non poteva fare altro. Gatta non mancava di gettare un’occhiata al portone dove aveva visto l’umano sparire con il suo Grigio, ogni volta che passava lì davanti guardava nella vana speranza di sapere qualcosa del destino del suo sfortunato figlio.

Intanto Bianco cresceva forte, le trotterellava dietro dimentico del fratellino che per così poco tempo aveva diviso con lui il latte materno. La vita di strada era dura ma per loro un po’ meno, nel tranquillo rifugio offerto dal piccolo parco si trovava sempre un riparo dalla pioggia, nel vano di un portone o sotto una delle tante macchine parcheggiate dietro i palazzi; certo il cibo era sempre un problema ma tutto sommato tra le briciole cadute dalle tovaglie sbattute alle finestre, le tante piante che affollavano il giardino e qualche ignaro topolino che di tanto in tanto faceva capoccella dalle grate delle fognature, di fame non sarebbero certo morti; l’unica vera sfida era difendere il territorio. Nel piccolo parco condominiale non c’era posto e cibo per due famiglie di gatti. Spesso Gatta cacciava i pretendenti a quell’angolo di paradiso cittadino, speso si limitava ad osservarli da lontano mentre attraversavano il suo territorio, rubando qualche briciola e proseguendo oltre, al di là della siepe.

Grigio aveva dormito molto in quei tre giorni, non si era accorto del trascorrere del tempo e dell’alternarsi del giorno e della notte. Quel giorno però si accorse che qualcosa era diverso, aprì appena gli occhi, forse non fece caso al fatto che adesso riusciva ad osservare il mondo con un occhio e mezzo e non solamente più con uno, udì uno strano rumore e gli sembrò che tutto gli si muovesse attorno, la gabbia si aprì ed una mano lo trasse fuori, di nuovo l’uomo con il camice verde !!! Ricordò con terrore il dolore dell’ultimo incontro ed un con impeto primordiale agitò furiosamente le zampe posteriori sgranando entrambi gli occhi.

“Ma bene siamo vitali !”  disse l’uomo con il camice verde, poi gli immobilizzò la testa tra le mani e con le sue dita forti gli tenne aperto a forza l’occhio malato  “l’occhio è quasi a posto, ma c’è ancora una piccola ulcera qui al centro, continui con la pomata qualche altro giorno”  lo mise sul freddo tavolo di metallo e nuovamente Grigio sentì di nuovo quel dolore pungente ed improvviso. Si sentì libero e provò ad alzarsi sulle zampe, si guardò intorno, vide l’uomo con il camice verde ed un altro umano, tentò di camminare ma le zampine gli si piegarono. Una mano gentile lo rimise nella gabbia e chiuse lo sportello.             “Ormai non corre più rischi ma è ancora debole” – udì nello stordimento – “è ora che cominci a dargli qualche cosa di solido”. Grigio si addormentò di nuovo.

Era ormai passato un mese dall’ultima volta che Gatta aveva visto il suo Grigio, eppure … gli sembrava di sentire ancora il suo odore in giro. Aguzzò le orecchie e tirò con il naso, non era solamente un’impressione, quell’odore c’era !!! Cercò di seguirlo, andò verso destra, ma no … di là si affievoliva, sembrava che girasse l’angolo del palazzo. Cosa non avrebbe dato in quel momento per essere un cane, con il loro fiuto … Svoltò l’angolo e lo sentì fortissimo, cominciò a trotterellare, non sapeva cosa stava facendo ma non riusciva a fare altrimenti. Improvvisamente si fermò. L’odore di Grigio finiva lì. Alzò il muso e si trovò dinnanzi una macchina rossa, il tepore del motore era ancora avvertibile, la annusò un po’ ovunque ma stabilì che l’odore più intenso era in corrispondenza di uno degli sportelli, appoggiò le zampe sulla vettura e cercò di alzarsi fin dove poteva, saltò sul cofano ed annusò il vetro, trovò le zampate e gli odori di altri gatti, cercò di escluderli dal suo olfatto, mise le zampe sul vetro e salì sul tetto della macchina, una zampa le rimase impiastricciata di un po’ di quella resina fastidiosissima che alcuni alberi lasciano, proseguì annusando tutto il tetto, finché … attaccati tra la resina e qualche ago di pino Gatta notò due sottilissimi fili argentei, li annusò, li toccò con la zampina, li osservò meglio. Erano peli di Grigio ! Ne era sicura ! Ed erano molto più lunghi di quelli che aveva quando lo aveva perso. Una strana sensazione la pervase, Grigio era vivo !

Ormai si era abituato al sapore stano di quel latte ma questa volta Grigio rimase sorpreso, l’umano che lo teneva in braccio non gli stava versando, come al solito, piccole gocce di latte in bocca, una strana pallina solida e fredda titillò le sue papille gustative, istintivamente masticò, era buona, fredda ma buona.

“Ti piace la carne ?” – sentì dire, ed aprì di nuovo la bocca.

Gatta tornava alla macchina ogni volta che poteva, si nascondeva nella siepe e la osservava attendendo non sapeva bene cosa. Un giorno, infine, vide un umano dirigersi verso la macchina, aguzzò la vista e l’olfatto, senza farsene accorgere sgattaiolò sotto la macchina e quando l’uomo si fermò per aprirla si trovò le sue gambe proprio dinnanzi al naso. Annusò fortissimo l’odore di Grigio e vide i lunghi peli argentei sul tessuto blu dei pantaloni. Ne era sicura, Grigio era vivo ! Aveva una certa conoscenza del mondo e sapeva che gli umani avevano spesso l’abitudine di tenere in casa degli animali; quest’umano aveva il suo Grigio.

A tre mesi di distanza Grigio era ormai un gattino a tutti gli effetti, l’occhio era guarito, il fisico non sembrava avere risentito degli stenti della sua brevissima infanzia, si guardava intorno passeggiando per la casa, in cerca di qualcosa che aveva perso, ma non riusciva a capire cosa fosse. Saltò su una sedia, poi sul tavolo, passeggiò lungo il lavandino fino alla lavatrice e come al solito si sedette, come fanno i gatti, davanti al vetro della finestra chiusa. Osservava con stupore i piccioni che svolazzavano a poca distanza da lui, i primi giorni aveva cercato di ghermirli cercando di rompere quell’invisibile barriera che era costituita dal vetro, poi stanco dell’inutile lotta aveva smesso e si era risolto ad osservarli semplicemente. Udì un fruscio impercettibile a chiunque altro, aguzzo le orecchie, allungò il collo e guardò oltre il davanzale, tra le foglie di quella siepe che qualcosa gli ricordava … ma cosa ?

Gatta se ne stava tra la siepe a lisciarsi la coda, mentre Bianco giocherellava con alcune foglie. Improvvisamente sentì un formicolio ai peli, ebbe la netta impressione che qualcuno la stesse osservando, istintivamente alzò lo sguardo verso quella finestra sulla facciata rosso mattone del palazzo che aveva di fronte, quella finestra alla quale aveva qualche volta visto affacciato quell’umano, quello che per qualche motivo teneva Grigio nella sua casa.

Un anno era passato, Grigio era ormai un gatto a tutti gli effetti, non aveva memoria del passato. Viveva tra il suo cestino nel bagno ed il letto di quell’umano che stava sempre seduto davanti ad una strana finestra luminescente picchiando le dita su una strana cosa. Lui se ne stava sdraiato sul letto, se aveva freddo si tirava addosso uno dei maglioni che sempre venivano abbandonati accanto a lui, se aveva caldo scendeva e si sdraiava sul fresco pavimento di marmo, se aveva fame andava in bagno dove c’era sempre una ciotola pronta. Non andava più a guardare fuori dalla finestra perché sentiva sempre delle sensazioni strane a guardare fuori, sentiva che qualcosa, al di là del vetro lo riguardava ma non capiva cosa, gli veniva sempre in mente quel tarlo … che gli mancasse qualcosa … ma cosa ?

Un anno era passato, Bianco era ormai un gatto a tutti gli effetti, non aveva memoria del passato. Viveva tra la siepe dove era nato ed il parcheggio delle macchine dove si divertiva a marcare il territorio. Se aveva freddo andava a dormire sul cofano di qualche macchina, se aveva caldo si sdraiava sotto la siepe ombrosa. Se aveva fame gironzolava per il condominio alla ricerca di briciole cadute dalle finestre, lucertole incaute o poco furbi topolini. Gatta lo guardava da lontano, lo vedeva forte e sicuro e sonnecchiava tranquilla. Erano sei i figli che aveva avuto nella sua vita, ma Bianco era l’unico che fosse sopravvissuto tanto. Il primo era nato morto, anche nel secondo parto un gattino era nato morto, gli altri due erano sopravvissuti solamente pochi giorni, nel terzo ed ultimo parto Bianco e Grigio, la loro storia è nota.

Un giorno accadde che Gatta vide sull’ammattonato del parcheggio, proprio di fianco a quella macchina rossa una di quelle gabbie che a volte gli umani usano per trasportare gli animali, si avvicinò circospetta mentre l’umano infilava nel bagagliaio delle valigie, man mano che si avvicinava sentiva quell’odore, l’odore di Grigio, farsi sempre più intenso. Girò intorno alla gabbia e buttò l’occhio dentro … lo vide … Grigio se ne stava lì dentro, grasso e pasciuto, il pelo folto e lucido, sembrava sonnecchiare, lo chiamò con un  miagolio sommesso, Grigio aprì gli occhi sonnacchiosi e la vide, nella sua mente una cortina di nebbia dietro l’altra si alzavano, improvvisamente davanti ai suoi occhi apparve l’immagine di quel viso familiare che gli leccava la faccia, ricordò quell’odore che voleva dire cibo, si drizzò sulle zampe, spalancò gli occhi. Gatta lo vide così, forte, sano, nessuna traccia degli stenti del piccolo Grigio, gli occhi sani e vispi, tutti e due, quell’umano si era preso cura di lui, Grigio era un povero gattino condannato dalla selezione naturale ed adesso invece era agile e forte, forse più del suo Bianco. Capì che tutti i loro destini si erano compiuti, miagolò un’ultima volta, si girò a si allontanò senza voltarsi. Quando l’umano si chinò per sollevare le gabbia e posarla sul sedile della macchina non capì cosa Grigio, che lui chiamava Romolo, stesse cercando di afferrare con la zampa protesa fuori della gabbia, gli occhi fuori delle orbite ed il suo miagolare rabbioso. Pensò che una lucertola fosse sfrecciata davanti alla gabbia. Per tutto il viaggio Grigio fu irrequieto, miagolò in maniera sconclusionata per quasi cento chilometri, poi si addormentò. A Grigio piaceva la casa di campagna e lì, l’umano ne era sicuro, avrebbe dimenticato quell’incontro.

Da quel giorno Gatta smise di preoccuparsi di Grigio, sapeva che in un modo o nell’altro stava bene. Guardò Bianco correre tra le foglie e pensò che Grigio non avrebbe mai avuto quella libertà, stretto tra le mura di una casa o tra le lamiere di un’automobile che lo portava in vacanza; d’altra parte Bianco non avrebbe mai avuto la pancia piena ed il pelo lucido e folto di Grigio e non avrebbe neppure avuto le aspettative di vita di Grigio, si sa un gatto di strada vive molto meno di un gatto domestico. In ogni caso il suo compito era compiuto, il suo contributo all’evoluzione della specie lo aveva dato. Due gatti forti e sani, con buone speranze di compiere anche loro il compito che la natura aveva affidato a tutti gli animali del mondo.

Era una calda mattina d’estate quando Gatta si sdraiò in quell’angolo così isolato del giardino dove alcuni anni prima aveva inutilmente cercato di svegliare sua madre finché non aveva capito e l’aveva ricoperta di foglie secche, era ancora lì, Gatta aveva continuato ad ammucchiare foglie e rami, muschio e terra, fino a quando quell’improvvisato sepolcro non era diventato un minuscolo rigonfiamento, Gatta sperò che anche Bianco avrebbe fatto altrettanto per lei, sperava di restare in quell’angolo di paradiso per sempre. Mentre si recava verso il piccolo tumulo passò sotto la finestra dove, ora lo sapeva con certezza, viveva Grigio, gettò uno sguardo e gli sembrò di vedere le sue orecchie spuntare da dietro il vetro, ormai tranquilla della sorte di Grigio si affrettò verso l’angolo, il dolore e la stanchezza aumentavano sempre di più ed aveva paura di non riuscire a raggiungere quello che aveva scelto come suo ultimo giaciglio. Si sdraiò e si sistemò il più comodamente possibile, ancora un ultimo sguardo a quella finestra. Riabbassando lo guardò vide Bianco dirigersi verso di lei, proprio come aveva fatto lei con la madre tempo prima. Era tranquilla e soddisfatta del suo lavoro, più di quello che aveva fatto non poteva fare. Sospirò, sentì le forze venirgli meno, Bianco era sempre più vicino, sentì il suo miagolio, ricordò quelli di Grigio mentre si allontanava dalla gabbia, miagolò. Chiuse gli occhi serenamente.

Gatta aveva nove anni.


Roma 1 Marzo 2001

Ultimo aggiornamento ( venerdì 06 aprile 2007 )
 
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