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Iceberg PDF Stampa E-mail
Scritto da Administrator   
giovedì 05 aprile 2007

Mister Henderson era andato in Europa per sbrigare alcuni affari urgenti e non appena ebbe terminato decise di tornare in patria con la prima nave. Era un uomo molto ricco, Elizabethtown, a Sud di Louisville nel Kentucky, era il suo quartier generale e da quelle parti qualcuno diceva che le strade della città non erano altro che i viali della sua immensa villa. Elizabethtown era praticamente sua !

Se ne stava tranquillo sul ponte lance fumando indifferente il suo sigaro. La notte era calma e l'Atlantico sembrava tranquillo, lontano, molto lontano gli sembrò di vedere delle luci sfumate, qualche peschereccio pensò, d'altronde ci si avvicinava ai Banchi di Terranova.

Guardò di sfuggita l'orologio, mancavano quasi venti minuti alla mezzanotte, faceva freddo ed il resto dei passeggeri o era già andato a dormire a ballava, le note dell'orchestra si udivano appena dalla sua postazione. La maggior parte di quella gente era eccitata, agitata, stavano viaggiando su quella che si diceva fosse la nave più grande e perfetta mai costruita, stavano viaggiando su una nave che se non avesse incontrato ostacoli avrebbe conquistato il Nastro Azzurro in quel suo primo storico viaggio. Tutta quella gente aveva lottato per avere il privilegio di salire su quella nave. Lui vi era salito solamente perché non voleva passare un minuto di più sul suolo inglese.

Udì tre volte il rintocco di una campana, sulle prime pensò ad un illusione, il mare le onde, il freddo ma poi alzò d'istinto la testa verso la coffa del pennone di prua, dritto davanti a lui, la guardò bene e vide una piccola figura muoversi freneticamente. Per un attimo tutto fu silenzio, si accorse immediatamente che le macchine erano state fermate ed altrettanto immediatamente si accorse che venivano mandate a tutta indietro, si aggrappò alla balaustra quando la nave si piegò scossa dalla repentinità della virata. Fossero stati a New York avrebbe pensato che l'autista stesse evitando qualche bastardino. Non udì il cozzo perché fu sbattuto per terra da un improvviso movimento laterale, come se l'immensa nave fosse stata spostata di traverso. Percepì però uno stridore sinistro, agghiacciante, come il rumore delle unghie strusciate su una lavagna, ma amplificato, di dieci, cento, mille volte. Aprì gli occhi e si stupì di doversi scrollare di dosso della neve, ma non era neve, erano piccoli pezzi di ghiaccio, si rizzò in piedi, alla sua destra ristava immobile un enorme mole biancastra.

 "Un iceberg !" - gridò istintivamente - "Ma cosa facevano in plancia" - urlò girandosi verso la cabina di guida. Si scrollò il ghiaccio dal suo bel vestito. Il suo sigaro non si era rovinato e ne trasse una rinfrancante boccata, certo questo incidente avrebbe ritardato la traversata e forse il Nastro Azzurro sarebbe sfumato, peccato, gli dispiaceva per il comandante Smith, un brav'uomo al suo ultimo comando. Nell'immobilità della notte nulla sembrava essere cambiato, si sentivano ancora le note stentoree dell'orchestra e di tanto in tanto qualche rumore metallico, provocato dallo struscio del ghiaccio sulle lamiere della nave.
 "Ma perché non fanno manovra e non si sbarazzano di questo cubettone di ghiaccio ?" - si chiese nel suo intimo.
 Passarono alcuni minuti ed un sibilo assordante lo costrinse a portarsi le mani alle orecchie, guardò al fumaiolo dietro di se, alto come un palazzo di sei piani, da alcune valvole poste quasi alla sommità uscivano dei bianchi getti di vapore, così come dagli altri tre fumaioli. Era lampante. La nave era ferma ma le macchine rimaste sotto pressione dovevano in qualche modo sfogarsi. Le orecchie divennero ben presto insensibili a quel rumore ed Henderson cominciò a pensare che forse era meglio andarsene in cabina, chissà due ponti più in basso, sotto una coltre di coperte magari quel frastuono sarebbe apparso accettabile. Mosse i primi passi incerti sul tappeto di ghiaccio che si era depositato e percepì sotto le suole il tremito della nave, pensò immediatamente che si fossero finalmente decisi a far manovra ma udì immediatamente un altro scroscio che gli gelò il sangue, quasi una percezione extrasensoriale. Erano state azionate le pompe di sentina.
 "Beh certo, che stupido sono stato" - si disse - "Per quanto grande e grossa come ho potuto pensare che un iceberg non avesse quanto meno incrinato le lamiere".
 Però il rumore era intenso e la massa d'acqua che veniva riversata in mare era molta, non potevano essere una o due pompe mandate su di giri, erano state azionate e mandate al massimo tutte le pompe.
 In quel mentre vide un paio di marinai con i regolamentari corpetti salvagente che toglievano le coperture da alcune scialuppe. Si avvicinò.
 "Salve ragazzi, cosa succede".
 I due si guardarono.
 "Nulla signore, precauzioni di routine, come da regolamento".
 "C'è qualche falla ?".
 "Si signore" - rispose uno dei due senza guardarlo.
 "Sono stati chiusi i compartimenti stagni ?".
 "Naturalmente !".
 "Quanti sono danneggiati ?".
 "Sedici signore" - risposero quasi in coro allontanandosi rapidamente.
 Henderson aspirò dal suo sigaro guardando le stelle, lanciò nel vuoto le volute di fumo, si voltò a destra, poi a sinistra. No, quella nave anche se così grande, anche se così perfetta non ce l'avrebbe fatta ad arrivare a New York con sedici compartimenti stagni allagati.
 In quel momento apparve dinnanzi a lui il secondo ufficiale, Lightoller.
 "Mister Henderson" - esclamò stupito l'ufficiale - "Lei è qui?".
 "Già" - indicò l'iceberg con il sigaro - "Avevate bisogno di ghiaccio".
 Lightoller ignorò la battuta ed osservò gelidamente la massa di ghiaccio. Henderson si fece serio.
 "Cosa sta succedendo ?".
 "Mister Henderson, forse posso ingannare quelle signore ingioiellate che ballano la rumba giù dabbasso, ma sarei stupido e le mancherei di rispetto se tentassi di ingannare lei" - tirò il fiato, stava per ammettere qualcosa che nessun ufficiale di marina vorrebbe mai esser costretto ad ammettere - "Stiamo andando giù. Abbiamo uno squarcio di novanta metri sulla murata di dritta, di conseguenza sedici compartimenti allagati, le pompe di sentina sono al massimo ma non ce la fanno, abbiamo già provveduto ad isolare le stive".
 Henderson aspirò ancora dal suo sigaro.
 "Quanto tempo abbiamo prima di ... " - fece il gesto con la mano.
 "Un paio d'ore non di più".
 "Un paio ... ma Mister Lightoller, questa nave ... non può essere, ma Dio Santo lo guardi" - indicò l'iceberg - "E` un sassetto in confronto a questo" - allargò le braccia ad indicare l'immensità della nave sulla quale erano, ancora per poco.
 Un ometto apparve all'improvviso in pigiama e giacca da camera.
 "Lightoller" - urlò - "Cosa è questa storia di preparare le scialuppe".
 Lightoller da consumato ufficiale di navi di lusso non mancò alla sua flemma tutta inglese e presentò come si conviene i due uomini che si trovavano di fronte.
 "Mister Henderson" - indicò l'ometto in pigiama - "Mister Bruce Ismay presidente della White Star Line" - l'ometto allungò la mano, altrettanto fece Mister Henderson.
 "Dunque questa nave è sua" - sbottò Henderson.
 "Non proprio, è della compagnia che dirigo" - lo ignorò e tornò a rivolgersi al secondo ufficiale - "Allora vuole darmi una spiegazione ?".
 "Stiamo affondando" - rispose secco Lightoller.
 Ismay lo fissò, sorrise - "Ma non dica fesserie".
 "Le consiglio di abituarsi all'idea e di prepararsi" - ristette un attimo osservando i marinai che preparavano le scialuppe. Si passò una mano sulla fronte - "Dio mio" - esclamò - "Abbiamo solamente sedici scialuppe da cinquanta posti ed una decina di Engelhardt e 2.200 passeggeri. Che Iddio ce la mandi buona" - e sparì.

Senza che Henderson se ne accorgesse anche Ismay era sparito. Si diresse verso la murata colpita, gettò lo sguardo in basso. La punta dell'iceberg era penetrata profondamente nella chiglia al di sotto della linea di galleggiamento. Ma non era quello il danno grave, con quell'avaria sarebbero potuti arrivare a New York e tornare a Southampton senza particolari patemi, il vero problema si trovava nei pressi del punto d'impatto. Era come se le grosse lastre che formavano lo scafo si stessero staccando, vista da quella posizione la chiglia appariva come un muro costruito mettendo i mattoni uno sull'altro senza alternarli, era bastato colpirne uno perché la colonna, dall'alto al basso, ne risentisse. Un brivido percorse la schiena di Henderson, quella nave si sarebbe spaccata in due forse anche prima di affondare.

Dopo quell'attimo di coscienza non avrebbe saputo dire quanto era rimasto ad osservare lo squarcio, si riebbe come da un sonno, il Titanic era leggermente inclinato a tribordo e la prua puntava sempre più minacciosamente verso il basso, Henderson si portò sull'altra murata e si sporse, la poppa si era sollevata e parte delle eliche cominciava ad affiorare al pelo dell'acqua. Quando il baricentro si fosse spostato troppo in avanti lo scafo si sarebbe impennato e sarebbe andato giù. Solo in quel momento Henderson si rese conto della confusione che regnava sul ponte lance, già sei scialuppe erano state calate e si allontanavano vistosamente dalla nave, un razzo bianco illuminò il cielo nero. Lightoller passava in quel momento, aveva indossato il giubbetto, Henderson lo afferrò per un braccio e lo fermò, si guardarono negli occhi.

 "Ragazzo" - urlò Lightoller voltandosi e facendo uno strano gesto. Immediatamente uno steward accorse con un giubbetto ed aiutò Henderson ad infilarlo.
 "Lanciate i razzi? Non avete lanciato un CQD ?".
 "Abbiamo lanciato l'SOS, è un nuovo segnale, probabilmente siamo tra i primi ad usarlo, un altro record del Titanic. Ci hanno risposto il Frankfurt, il Mount Temple, l'Olympic" - la nave gemella del Titanic, praticamente la prova generale - "tutte stanno convergendo su di noi" - fece una pausa - "Troveranno solo qualche relitto. Rostron, il capitano del Carpathia sta spingendo la sua nave a 17 nodi per raggiungerci, quella nave è stata collaudata per una velocità di 14 nodi. In ogni caso se non esplode prima non arriverà prima di quattro ore, inoltre ... quella nave ha a bordo già settecento persone, se ci carica tutti andrà giù anche lei".
 "Non c'è scampo insomma".
 "No, chi non sale sulle lance non può sperare. La temperatura dell'acqua non permetterebbe a nessuno di sopravvivere per più di tre o quattro minuti ed in ogni caso quando il mostro andrà giù provocherà un vortice tale che chiunque non sia a debita distanza verrà risucchiato ed affonderà con lui".
 "Quanti posti ci sono sulle scialuppe".
 "Con molta fantasia ed un pò di abilità marinara posso ipotizzare che quelle tinozze non potranno salvare più di 800 vite".
 "Ma siamo 2.200 !!!".
 "Anche di più, non me lo ricordi".
 Lightoller scomparve tra la folla.
 Henderson rimase dov'era, un'altra lancia stava per essere calata in acqua, era semivuota, le ricche signore impellicciate si rifiutavano di salire su quella barchetta lasciando il loro sontuoso albergo galleggiante.
 "Signori ultima chiamata" - strillò il ragazzo alla gru.
 Nessuno si mosse. Stava per sganciare il fermo.
 "Eccomi !" - rispose Henderson.
 "Prego" - il ragazzo si spostò e lo fece passare, prese posto sugli scalmi e quando anche il ragazzo fu dentro lo aiutò a tenere la scialuppa lontana dalla murata mentre scendeva. Non erano più di trenta persone, almeno venti posti erano ancora disponibili.
 "Restiamo nelle vicinanze" - disse Henderson - "Potremo raccogliere qualcun altro".
 "Sarà troppo tardi signore" - rispose il ragazzo - "Se saremo a portata di risucchio saremo spacciati anche noi".
 "Ma davvero credete che andrà giù ?" - proruppe incredulo un distinto gentiluomo".
 "Come un sasso" - affermò deciso Henderson.
 "Proprio così" - confermò il ragazzo.
 "Poh" - disse altezzosamente il gentiluomo e si voltò.
 Remarono di buona lena e si portarono ad un paio di miglia dalla nave, quando si voltarono le eliche ed il timone erano completamente fuori dalle acque ed il distinto gentiluomo osservava la scena con la bocca aperta.
 "Manca poco" - disse il ragazzo mascherando un pesante fiatone dovuto alla fatica appena terminata.
 Udirono un sordo tuono, un rombo terrorizzante, d'improvviso le luci della grande nave si spensero ed al chiarore della Luna la poppa andò su, ristette immobile forse per mezzo minuto poi, dapprima lentamente, poi sempre più velocemente scivolò nell'abisso.
 Henderson tirò fuori il suo cipollone d'oro, lo aprì, un dolce musica risuonò stonata in quel contesto.
 "Ricordatevi signori" - disse in tono solenne - "L'inaffondabile Titanic è affondato alle 2.21 del 15 Aprile 1912" - richiuse l'orologio e si rivolse al ragazzo - "Sei l'unico marinaio di bordo, a te il comando. Cosa dobbiamo fare".
 Il ragazzo non si aspettava questa nomina sul campo ma reagì bene.
 "Cerchiamo di restare a galla e non allontanarci dalla posizione, le navi dei soccorsi arriveranno" - diede un'occhiata al mare nero, si udivano dei gemiti sommessi - "Credo sia il caso di cercare di raccogliere quanti più possiamo".
 La scialuppe si muoveva malamente, condotta da persone inesperte in un mare denso di rottami, pezzi di legno, stoffe che si aggrovigliavano al timone ed ai remi e cadaveri, decine, centinaia. Tirarono a bordo molte persone che annaspavano, ma più della metà furono costretti a ributtarle in acqua non appena cessavano di vivere. In capo a dieci minuti nessuno più chiedeva aiuto, ed il silenzio era totale, rotto di tanto in tanto dallo sciacquettio dei remi.
 Intorno alle 4.00 un acuto fischio svegliò gli occupanti dell'imbarcazioni caduti in uno stato di torpore, attorno a loro regnava incontrastata una fitta nebbia che di tanto in tanto lasciava intravedere la cresta di qualche iceberg. Henderson ed il ragazzo si rizzarono in piedi.
 "Là !" - gridò Henderson indicando una sottile striscia verde che fendeva il cielo. Il marinaio al timone lanciò un possente fischio. Ristette in attese, un fischio di rimando gli strappò un grido di gioia. Dalla bruma apparve dapprima una piccola scialuppa bianca con a bordo tre marinai. Quando la piccola imbarcazione fu sottobordo spuntò dalla nebbia la sagoma rassicurante del Carpathia. Vennero agganciati a rimorchiati verso la nave. Dalla parte opposta alla loro si avvicinava alla murata un'altra scialuppa del Titanic, era piena fino all'inverosimile, l'acqua entrava dai bordi ad ogni sussulto, a poppa reggeva il timone Charles Lightoller.
 Henderson e Lightoller si incontrarono sul ponte del Carpathia.
 "Il capitano Smith ?" - chiese Henderson.
 Lightoller non rispose, salutò Henderson con gesto e si allontanò.
 Henderson continuò a passeggiare sulla coperta, tutto era silenzioso e solo il frangersi delle onde sui ghiacci e qualche grido delle vedette spezzava quell'atmosfera. Passò accanto a due signore che, apparentemente incuranti della tragedia appena vissuta spettegolavano amenamente.
 "Questo è un cattivo presagio, mi disse, proprio così ed aggiunse: Lei ama la vita ?" - Henderson si fermò ad ascoltare senza farsi notare - "Oh, si, gli risposi. E lui sa cosa mi ha detto? Allora a Cherbourg lasci questa nave, se riusciremo ad arrivarci. E` quel che farò io. E perché tutto questo? Per quel banale incidente col New York".

Henderson le lasciò e tra se notò come la vecchia signora biasimasse quell'uomo che scendendo al primo scalo si era perso una così eccitante esperienza, forse la vecchia signora non riusciva a capire che quella che per lei era stata un'eccitante esperienza era costata la vita ad oltre 1.500 persone. E poi, quello col New York non era stato un "banale incidente", il risucchio provocato dallo spostamento del Titanic negli spazi ristretti delle banchine di Southampton aveva provocato un tale vortice di acque che la loro potenza aveva strappato dagli ormeggi il piroscafo New York, che anche se non immenso come il Titanic, era pur sempre una nave di tutto rispetto, solamente la perizia dell'equipaggio del New York aveva impedito che le due navi collidessero, e che dire dell'Oceanic che preso nello stesso vortice si era allontanato dall'ormeggio tendendo le gomene, se solo una di quelle corde si fosse spezzata sarebbe calata sulla folla delle banchina e sui ponti della nave come una frusta impazzita e ben più di un corpo si sarebbe ritrovato spezzato in due o più parti.

Molti cattivi presagi aleggiavano intorno al Titanic prima della sua partenza, Henderson cominciò a pensare, da consumato imprenditore, che buona parte di quelle voci fossero state fatte circolare a bella posta dalla stessa White Star Line per stimolare oltremodo la curiosità dei ricchi signori, per trasformare quel "Maiden Voyage" in un avvenimento epico che avrebbe definitivamente attratto a se frotte di passeggeri strappati alla Cunard. Invece, per ironia della sorte, tutto questo si era rivelato fatale e proprio la Cunard ne avrebbe beneficiato, la Cunard proprietaria del Carpathia sul quale si trovavano, quel Carpathia che aveva sfidato i ghiacci spingendo le sue caldaie fino all'inverosimile.

Ma in fondo, continuò in esercizio libero la mente di Henderson, la marineria era piena di maledizioni e leggende. Che dire del Great Eastern, gigantesco piroscafo realizzato fra il 1854 ed il 1858 da Isambard K. Brunel. A doppio fasciame di ferro dalla chiglia al galleggiamento, fu la sola nave al mondo con propulsione sia ad elica sia a ruote, oltre che a vele; i suoi sei alberi potevano portare 5500 mq circa di vele. Il Great Eastern poteva imbarcare 4.000 passeggeri, aveva un equipaggio di 400 uomini ed una capacità di carico di 6.000 tonnellate. Jules Vernes, che su di esso attraverso l'Atlantico, nel suo libro romanzo "Una città galleggiante", così lo descrive: <<E` più che una nave, è una città galleggiante, un pezzo di contea staccato dal suolo inglese. che, dopo aver attraversato l'Atlantico, va a saldarsi al continente americano>>. Su di lui si diceva addirittura che durante la costruzione delle sue spropositate caldaie un operaio venne per caso saldato dentro una di esse, che un altro si perse nelle sue immense stive a mai più venne ritrovato.

 "Quello era veramente inaffondabile" - disse ad alta voce - "quell'Iceberg non lo avrebbe neppure sentito, non ci sarebbe neppure accorti della collisione".
 Probabilmente aveva ragione, il Great Eastern era indifferente al mare. Poi d'improvviso si ricordò di un romanzo di cui aveva sentito parlare uscito l'anno precedente, era ambientato su una nave immensa chiamata Titan che affondava colpita da un iceberg al suo viaggio inaugurale. Un brivido discreto gli percorse la schiena.

L'aria tersa dell'alba lo teneva sveglio e scrutando la nebbia sospesa sulle acque si disse tra se e se: "Questo incidente farà scalpore, passerà alla storia, ed io sarò per sempre un superstite del Titanic" - nella sua mente quell'idea risuonava come un'onoreficenza, come essere designati baronetti, sarebbe stato un bell'aiuto per i suoi affari, quanta pubblicità gratis, ma subito si vergognò di se stesso, pubblicità a scapito delle millecinquecento persone morte nella sciagura, in maggioranza poveri diavoli della terza classe.

Quando arrivarono a New York c'era una folla immensa ad attenderli, Henderson non aveva voglia di restare oltre su quella nave, anche se aveva decretato la sua salvezza, si stavano ultimando le manovre di ormeggio quando qualcuno lo chiamò ripetutamente a gran voce, si girò, un marinaio gridava il suo nome a destra e manca sventolando un foglietto.

 "Qui" - gridò a sua volta alzando il braccio. Il marinaio lo raggiunse gli porse il foglio e sparì tra la folla con un altro foglio ed un altro nome.

Si trattava di un piccolo foglio bianco, su un angolo era stampato con un corsivo molto accattivante il nome della nave e della compagnia, veniva quasi sicuramente dalla sala radio, scritto in fretta si leggeva in alto: "Mr. Henderson" - e più in basso : "Ti aspettiamo a casa. Eleanor ed il tuo animaletto". Elanor era la moglie e l'animaletto era Yvette, la loro figlioletta. Si accorse di avere gli occhi lucidi ma pensò che dal momento che non aveva pianto negli ultimi venti anni, neppure al funerale della madre, gli sembrò poco indicato farsi prendere adesso dalle emozioni. In quel mentre una folla di gente prese d'assalto la scaletta d'imbarco che era stata appena gettata. Tra gli altri vide un volto familiare, gli andò incontro lo bloccò gli afferò la mano e gliela strinse con tanta foga da spaventarlo.

 "Lei ci ha salvato la vita Signor Marconi" - gli disse con evidente riconoscenza.
Marconi ringraziò con un cenno della testa e corse via in direzione della sala radio.
Non c'erano dubbi che la vera protagonista di quel salvataggio era stata proprio lei, la radio.
Mister Henderson lasciò definitivamente la nave, prese con se il ragazzo che aveva condotto la lancia dal Titanic al Carpathia ed insieme raggiunsero Elizabethtown.
Mister Henderson appese nel suo ufficio privato il giubbetto di salvataggio con la scritta "RMS Titanic", ogni tanto gli buttava un'occhiata e si convinceva che era un uomo molto fortunato.

Roma 31 Dicembre 1993
 

Ultimo aggiornamento ( sabato 07 aprile 2007 )
 
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